Cronaca di una disincarnazione: come aiutare chi ci lascia

Cronaca di una disincarnazione: come aiutare chi ci lascia

Le condizioni psicologiche dell'accompagnatore

L’equilibrio: a priori, ognuno di noi, in quanto essere umano, è dotato di un potenziale che deve consentirgli di accompagnare gli altri nella morte. In pratica, però, dobbiamo riconoscere che questo non avviene quasi mai, perché quasi tutti siamo attanagliati da paure ancestrali. 

La prima caratteristica di un buon accompagnatore è dunque di avere eliminato il più possibile questa paura dentro di sé: l’autocontrollo è un punto irrinunciabile, perché quando si è di fronte a un morente nessuno può recitare una commedia, né a se stesso né a colui del quale è momentaneamente responsabile. Con questo intendiamo che ci può essere un abisso fra la comprensione mentale ed intellettuale del senso della morte (conseguita attraverso i libri) e il fatto di trovarsi da soli, completamente, davanti alla morte in azione. Essere sinceri con se stessi ci sembra dunque un elemento indispensabile in questo percorso; bisogna semplicemente essere o ridiventare uno con se stessi, e per estensione con l’altro, imparando a centrarci nel cuore.
L’equilibrio emotivo e mentale costituisce in fondo la base più auspicabile per tutti coloro che vogliono prestare servizio in questo modo. Naturalmente bisogna aver chiarito con se stessi, nella misura del possibile, qual è il nostro rapporto con la vita e con la morte; non tanto un “sapere” dovuto a tonnellate di libri immagazzinati, ma un “sentire” ciò che avviene nel profondo, apprezzarne al massimo la sacralità e rispettarlo in quanto tale. Questo non significa che l’accompagnamento sia per forza riservato a dei “professionisti”: com'è possibile parlare di “professione” o di “lavoro”, giacché si tratta di donare se stessi ben più di ogni altra cosa? La prima caratteristica necessaria, al di là delle conoscenze, per fortuna resterà sempre la capacità di amare, amare incondizionatamente, cioè senza giudicare e senza proiettare i nostri desideri o le nostre inibizioni. 

E siamo tutti capaci di farlo: grazie al Cielo, non dobbiamo aspettare di essere “perfetti” per offrire il nostro aiuto agli altri, quando la morte si avvicina! Si tratta, soprattutto, di essere onesti e pieni d’amore. 

Accompagnare o guidare? 
 
Sono due nozioni molto diverse fra loro: una guida indica necessariamente una strada che si suppone egli conosca, mentre l’accompagnatore, come dice il nome stesso, si limita ad accompagnare, ovvero ad offrire una spalla che sia di appoggio, di sostegno, di consiglio. Una guida, per definizione, indica la strada che ha percorso, la sua pista, quella che conosce a menadito e che corrisponde alla sua sensibilità; ma non e ` detto che sia adatta anche agli altri.
Quanto alla morte, le cose non cambiano: ciò che ne sapete voi, non necessariamente corrisponde a ciò di cui ha bisogno l’altro, a ciò che può aiutarlo. Guidare, può dunque significare imporre la nostra visione, ciò che abbiamo acquisito; mentre accompagnare significa invece adattarsi alle aspettative dell’altro, ad un suo appello pi u ` o meno dichiarato. Significa adattarsi alle sua capacità di comprensione, al suo ritmo di sviluppo. Il tutto si riassume in una questione di rispetto: naturalmente l’accompagnatore può suggerire un certo tipo di atteggiamento piuttosto che un altro a colui che se ne va, a seconda delle aperture che percepisce, a seconda delle richieste che intuisce. Ma suggerire, non vuol dire imporre. Così, tanto per fare l’esempio di un caso estremo, non si chiederà ad un morente di concentrarsi sul suo chakra frontale se non ha mai sentito parlare di chakra. . . Perché è facile rendersi conto che questo gli causerebbe molta più confusione che non serenità mentale. 

Credete in Dio, o non ci credete?

Non ha importanza, perché non dobbiamo dimostrare nulla a chi sta andandosene. Gli ultimi istanti non devono trasformarsi in sermoni, l’unica preoccupazione dev’essere quella di acquietare l’altro, perché sembra che soltanto nella quiete la speranza è la fiducia possano germogliare. Naturalmente, è certo che il rispetto delle credenze è fondamentale.

Silenzi e parole 
 
Il linguaggio negli ultimi momenti della vita deve avvicinarsi il più possibile a quello universale, che chiamiamo anche compassione. Passa sempre attraverso parole semplici, ma anche attraverso gli sguardi, o attraverso una semplice presenza. A volte il silenzio è abbastanza, e può sostituire vantaggiosamente la parola: è tutta questione di sentire. 

Questo silenzio, d’altronde, è una forma di ascolto da non sottovalutare, perché è esattamente ciò che consente di toccare l’essere sottile al di là della forma. Quando è necessario uno scambio verbale (e spesso è richiesto da colui che sta per andarsene) l’arte di amare consiste allora nel saper trovare il vocabolario giusto per lui: naturalmente sarà sempre un vocabolario che non forzerà le porte che percepiamo essere chiuse, e dietro al quale ci sarà un’energia capace di suggerire la quiete. Non dimentichiamo anche che l’udito è l’ultimo dei sensi a svanire, e che spesso è possibile continuare a comunicare oltre il coma. Molte testimonianze lo dimostrano, e la nostra esperienza ce ne ha convinti. 

La neutralità 
 
Spesso si sente parlare della neutralità dell’accompagnatore nei confronti del morente; secondo la nostra opinione, forse non è così che andrebbero presentate le cose, perché nessuno ci è mai sembrato essere neutro davvero. . . e per fortuna! Ognuno di noi emette una propria radianza o, se vogliamo, un gran numero di onde, testimoniate, fra l’altro, dall’aura. Chi si appresta a lasciare il corpo è particolarmente sensibile a queste emanazioni, e spesso percepisce più facilmente ciò che siamo davvero (se non altro in quell’istante preciso) e questo basta ad eliminare ogni carattere di neutralità. 

La nostra volontà di essere d’aiuto, il nostro calore, ciò in cui crediamo, definiscono di conseguenza la colorazione del nostro essere, così come l’offriamo senza rendercene conto. Il nostro compito consisterà nel far sì che questa colorazione sia la più limpida possibile, ovvero che non sia l’ambasciatore dei nostri desideri, ma che resti attenta ed aperta ai desideri del morente. Soltanto i meccanismi sono neutri, ma in questo caso, a che ci servirebbero? Essere umani nel pieno senso del termine: ecco cosa ci viene richiesto.
...tratto da Cronaca di una disincarnazione. Come aiutare chi ci lascia.

Cronaca di una disincarnazione: come aiutare chi ci lascia
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