Esperienze premorte - Due storie rivelatrici
Un
vero viaggio non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi.
Marcel
Proust
Già
lo studio uscito su «The Lancet» parlava di questo caso. Van Lommel
ha poi chiesto all’infermiera dell’unità coronarica di un
ospedale olandese, testimone dei fatti, di riferire ampiamente e con
precisione cosa accadde.
L’antefatto:
un signore di quarantaquattro anni fu trovato in gravi condizioni, in
un parco, da un passante che subito provvide a praticargli il
massaggio cardiaco.
In
ospedale poi, dovendolo intubare, si scoprì che aveva la dentiera.
«Così» racconta l’infermiera «prima di intubarlo, gli tolsi la
parte superiore e la misi sul tavolino porta oggetti. Intanto il
resto della squadra continuava il massaggio cardiaco.»
Il
tentativo di rianimazione andò avanti ancora per molto. Dopo, sempre
in coma e col respiratore, fu trasferito in terapia intensiva.
Passata
una settimana, uscito dal coma, fu riportato nel reparto dove
lavorava l’infermiera, la quale così riferisce ciò che accadde:
«Io lo vidi mentre facevo il giro di distribuzione delle medicine ai
pazienti. Non appena lui mi vide, disse: “Oh sì, ma lei, lei sa
dov’è la mia dentiera”. Rimasi sbalordita. Poi mi disse: “Ma
sì, lei era lì quando mi portarono in ospedale, e mi tolse la
dentiera e la mise su quel tavolino sopra al quale stavano tante
bottiglie, e c’era un cassetto sotto, dove lei ha messo la mia
dentiera”. Non potevo credere a ciò che avevo sentito, perché io
mi ricordavo che questo era successo mentre l’uomo era in coma
profondo e stavamo tentando la rianimazione».
Come
poteva costui riconoscere l’infermiera che non aveva mai visto da
sveglio e addirittura descrivere ciò che aveva fatto e il tavolo che
non poteva materialmente scorgere, stando disteso in coma sul letto?
«Dopo
varie domande» riferisce l’infermiera «scoprii che il paziente si
era visto dall’alto sdraiato sul letto mentre erano in corso tutte
le procedure da parte dei medici che avevano lo scopo di rianimarlo.
Addirittura fu in grado di descrivere con completezza e fin nei
minimi dettagli la piccola stanza dove la rianimazione era avvenuta e
l’aspetto di tutti i presenti. Mentre assisteva a quelle nostre
manovre era terrorizzato dal fatto che avremmo potuto interrompere la
rianimazione, perché sarebbe morto. In effetti» spiega l’infermiera
«durante la rianimazione eravamo scettici riguardo la riuscita dei
nostri sforzi a causa delle condizioni gravissime del paziente. Lui
mi disse che in quei minuti aveva tentato disperatamente – ma
invano – di comunicarci che era vivo e che non dovevamo fermare la
rianimazione. Mi riferì che era rimasto profondamente impressionato
da quell’esperienza, ma aggiunse che non era più spaventato dalla
morte.»
È
evidente che quest’uomo non può essere stato vittima di
allucinazioni, perché ciò che ha visto e sentito è vero e
confermato dai presenti. Solo che – per la medicina – egli non
poteva né vederlo né sentirlo. Invece ha riferito tutto
dettagliatamente sostenendo che si trovava «fuori dal corpo», per
l’esattezza sopra.
Sono
tanti i casi in cui accade qualcosa che non può accadere, dal punto
di vista medico-scientifico. O meglio: non può accadere se si resta
ancorati all’idea che la coscienza è prodotta dal cervello.
Un’altra storia clamorosa, che di nuovo mi sembra offrire la prova
scientifica dell’esistenza dell’anima, è quella di Vicki.
È
una vicenda che è diventata notissima grazie a un libro di Kenneth
Ring e Sharon Cooper, Mindsight: Near-Death and Out-of-Body
Experiences in the Blind. E grazie al documentario mandato in onda
nel 2002 dalla BBC, intitolato The Day I Died, dove Vicki era
intervistata.
Vicki
è una giovane donna cieca da sempre per una serie di traversie.
Nasce prematura nel 1951 e – per gravi problemi medici – si
ritrova con bulbi oculari e nervo ottico atrofizzati a cui si
aggiunge l’incompleto sviluppo della corteccia cerebrale visiva,
quella parte del cervello che trasforma gli stimoli ricevuti in
immagini.
Una
situazione in cui è del tutto impossibile vedere qualcosa. Infatti
Vicki trascorre la sua vita senza mai vedere nulla. Nel modo più
assoluto. Nemmeno nei suoi sogni. Nessuna immagine e nessun colore.
Niente.
Finché
un giorno del 1973 – quando ha ventidue anni – le capita un
disastroso incidente automobilistico. Lei viene sbalzata fuori
dall’auto in cui si trovava e riporta danni pesantissimi: la
frattura della base cranica, una grave commozione cerebrale, la
frattura del collo e di una gamba.
Entra
in coma. In questa situazione sperimenta una NDE. Come riferirà in
seguito, è proprio in questa circostanza che coglie la prima
immagine visiva della sua vita. Ma non con i suoi sensi corporei,
dato che è in coma.
Infatti
vede dall’alto l’incidente, l’auto distrutta contro un furgone
Volkswagen. In seguito, arrivata al pronto soccorso dell’Harborview
Medical Center, sempre in coma, vede – ancora dall’alto e per la
prima volta – il proprio corpo.
È
una vicenda stupefacente. Vicki non riconosce subito il suo corpo,
che non aveva mai visto prima. All’inizio vede una ragazza distesa
su una barella, vede delle persone che si accalcano attorno a lei e
sente le loro parole di gravissima preoccupazione. Tutti gridano:
«Non possiamo riportarla indietro!» mentre proseguono concitati i
loro tentativi di rianimazione.
A
un certo punto la sua attenzione si focalizza su un dettaglio: quella
donna che vede laggiù distesa su una barella ha un anello e –
osservandolo bene – è identico al suo anello nuziale. Vicki non lo
ha mai visto, ma lo conosce benissimo grazie al tatto ed è in grado
di riconoscerlo alla mano di quella donna che a questo punto capisce
con sbigottimento di essere proprio lei.
Realizza
che quello è il suo corpo e che lo sta osservando dall’alto.
Comincia a rendersi conto di essere morta. Ma non riesce a
capacitarsi della situazione, perché vede, capisce e sente di essere
staccata dal proprio corpo.
Vedere
per la prima volta la impressiona, è tutto sconosciuto e
inquietante. Tutte quelle persone che si agitano spaventate, poi,
sono un enigma. Pensa di trovarsi ormai fuori da questo mondo, di
essere impossibilitata a comunicare con loro.
A
questo punto sente di stare salendo e passando «attraverso il
soffitto», come se si fosse aperto. Sempre dall’alto vede il tetto
dell’ospedale, gli alberi e tutto il resto.
Sentiamo
dalla sua viva voce cosa accade a questo punto:
Andai
su attraverso il soffitto come se non ci fosse stato niente. Ed era
fantastico essere là fuori ed essere libera, non essere preoccupata
di urtare alcunché [essendo cieca, aveva sempre avuto paura di
sbattere in qualche ostacolo, N.d.A.] e sapere dove stavo andando
[perché adesso Vicki vedeva, N.d.A.].
A
questo punto la donna riferisce le proprie sensazioni:
Sentii
il fruscio di un vento che emise un suono così incredibilmente dolce
che non posso descriverlo – ondeggiava dalle note più basse a
quelle più alte. E mentre mi avvicinavo a questo posto, c’erano
alberi e uccelli e un bel po’ di persone in giro, ma erano tutte,
come dire, fatte di luce, e le potevo vedere, ed era incredibile,
davvero bellissimo, ed ero sopraffatta da quell’esperienza perché
non riuscivo a immaginare che tipo di luce era. È tuttora…
qualcosa di commovente ogni volta che ne parlo… perché c’è
stato un punto in cui… in cui possedevo ogni tipo di conoscenza che
volevo.
Andando
avanti Vicki si accorge di riconoscere quelle persone «fatte di
luce» che le sono venute incontro. Erano morte prima di lei.
Ring
e Cooper, nel loro libro, ne hanno contate cinque. In particolare si
soffermano su «Debby e Diane che erano delle compagne di scuola
cieche di Vicki, morte cinque anni prima, rispettivamente all’età
di undici e sei anni. In vita, erano gravemente ritardate oltre che
cieche, ma lì invece apparivano luminose e belle, in salute e molto
vivaci. Non erano più bambine, ma, come Vicki dice, “in piena
adolescenza”…».
C’erano
poi due signori anziani, che Vicki aveva conosciuto da bambina e che
erano morti anni prima, «infine, c’era anche la nonna di Vicki,
che ha praticamente cresciuto Vicki e che era morta due anni prima di
questo incidente. Sua nonna, nonostante fosse più lontana da lei
rispetto alle altre persone, avrebbe provato ad abbracciarla»
Questa
NDE si conclude con il ritorno «forzato» di Vicki nel corpo e nel
mondo: «E dopo fui rimandata indietro nel mio corpo e fu
estremamente doloroso e brutto e mi ricordo di aver percepito una
forte sensazione di malessere».
È
evidente che la storia (anche clinica) di Vicki da sola fa crollare
tutte le teorie e i dogmi materialisti che liquidano le NDE come
allucinazioni prodotte dal cervello.
Infatti
Vicki non ha visto «allucinazioni», ma la realtà verificabile.
Com’è possibile che una persona che è nata cieca, perché le
mancano letteralmente i presupposti fisici e cerebrali per vedere,
durante il coma (per la prima volta nella vita) abbia potuto vedere
perfettamente se stessa e le persone vicine e quello che accadeva e
che tutto ciò sia stato da lei osservato da una posizione esterna al
suo corpo e senza l’uso degli organi sensoriali?
La
medicina non è in grado di dare alcuna spiegazione di un tale
fenomeno e l’unica razionalmente (e – direi – scientificamente)
accettabile è quella che riconosce la sopravvivenza della coscienza
fuori dal corpo e il mantenimento addirittura potenziato di tutte le
capacità intellettive e sensoriali dell’individuo fuori dal corpo
stesso.
Non
è forse questa la prova scientifica dell’esistenza dell’anima?
Ma c’è di più.
Se
è appurato – com’è incontestabile – che Vicki ha
effettivamente visto quello che accadeva in quell’ospedale,
riferendolo con esattezza, anche le persone che ha visto
successivamente, parlandone con altrettanta precisione, erano reali,
sia pure di un’altra realtà, di tipo spirituale.
Ciò
conferma che c’è una realtà superiore, oltre la realtà terrena e
oltre la vita terrena. Una Realtà non sottoposta alle leggi dello
spazio-tempo, né alle sofferenze e ai duri limiti dell’esistenza
terrena.
Leggi
il libro Tornati dall'aldilà