Trattamento psichico (trattamento dell’anima)


Trattamento psichico (trattamento dell’anima)

Il presente scritto, il cui titolo originale è Psychische Behandlung (Seelenbehandlung), è un contributo di Freud a un’opera a carattere semipopolare in due volumi, dovuta alla collaborazione di vari autori, intitolata “Die Gesundheit” (La salute), a cura di R. Kossmann e J. Weiss (Union Deutsche Verlagsgesellschaft, Stoccarda, Berlino e Lipsia). 

L’articolo era stato omesso nella prima raccolta degli scritti di Freud (Gesammelte Schriften). È stato invece compreso nelle Gesammelte Werke, vol. 5 (1942), pp. 289-315, sotto la data 1905. L’articolo era stato infatti rintracciato in una copia del libro “Die Gesundheit” recante quella data. 

Rimaneva però misteriosa la natura di questo articolo. 

Freud nel dicembre 1904 aveva tenuto di fronte al Collegio medico di Vienna una conferenza sullo stesso argomento, e cioè sulla Psicoterapia, e l’aveva pubblicata nel primo numero del 1905 della “Wiener medizinische Presse”. Mentre in questa conferenza sono ampiamente sviluppati il metodo catartico di Breuer e quello psicoanalitico, che vengono contrapposti alla semplice terapia ipnotica, consistente nell’ordinare durante la ipnosi la scomparsa dei sintomi, nel presente scritto non si fa per nulla cenno a tali tecniche. Freud si limita a considerare la possibilità di influire sullo stato fisico di un ammalato attraverso l’azione esercitata sulla sua psiche, e a soffermarsi poi in modo specifico sulla terapia ipnotica (che nel 1905 egli da molti anni aveva cessato di praticare). 

La cosa fu chiarita quando il professor Saul Rosenzweig, della Washington University di Saint Louis, trovò che quella datata 1905 era la terza edizione del libro, mentre la prima edizione risaliva al 1890 (una seconda ve n’era stata nel 1900). Lo scritto di Freud appartiene dunque a quell’epoca, e perciò essa riceve qui questa collocazione. 

La traduzione è di Ezio Luserna. 

Sigmund Freud
Psiche è una parola greca e significa, tradotta, “anima”. Trattamento psichico vuol quindi dire “trattamento dell’anima”, e si potrebbe dunque pensare che con esso s’intenda: trattamento dei fenomeni patologici della vita dell’anima. Ma non è questo il significato dell’espressione. Trattamento psichico indica piuttosto: trattamento a partire dall’anima, trattamento – di disturbi psichici o somatici – con mezzi che agiscono in primo luogo e immediatamente sulla psiche dell’uomo. 

Un tale mezzo è soprattutto la parola, e le parole sono anche lo strumento essenziale del trattamento psichico. Il profano troverà certo difficile comprendere come disturbi patologici del corpo e della psiche possano venir eliminati attraverso le “sole” parole del medico. Egli penserà che si pretende da lui la fede nella magia. Non ha tutti i torti; le parole dei nostri discorsi quotidiani non sono altro che magia sbiadita. Ma sarà necessario prendere una via indiretta, più ampia, per far capire come la scienza riesca a restituire alla parola almeno una parte della sua primitiva forza magica. 

Anche i medici di formazione scientifica hanno imparato soltanto di recente ad apprezzare il valore del trattamento psichico. Ciò si spiega facilmente se si pensa all’evoluzione della medicina nell’ultimo mezzo secolo. Dopo un periodo piuttosto improduttivo di dipendenza dalla cosiddetta “filosofia naturale”, la medicina ha fatto, sotto il felice influsso delle scienze naturali, i più grandi progressi come scienza e come arte, ha scoperto che l’organismo è costruito sulla base di unità microscopicamente piccole (le cellule), ha imparato a comprendere da un punto di vista fisico e chimico gli svolgimenti vitali (funzioni), ha distinto le modificazioni visibili e tangibili delle parti del corpo, che sono conseguenze dei vari processi patologici; d’altra parte, ha trovato anche gli indizi attraverso i quali certi processi patologici profondi si rivelano nelle persone ancora in vita, ha scoperto un gran numero di agenti patogeni viventi, e con l’ausilio delle conoscenze recentemente acquisite ha ridotto in misura del tutto straordinaria i pericoli di gravi interventi operatori. Tutti questi progressi e queste scoperte riguardavano l’aspetto somatico dell’uomo, e così, in seguito a un indirizzo di valutazione non equo ma facilmente comprensibile, si giunse al punto che i medici limitarono il loro interesse al corpo, concedendo volentieri ai filosofi, da loro disprezzati, di occuparsi della psiche. 

È vero che la medicina moderna aveva sufficienti motivi per studiare l’innegabile rapporto tra corpo e psiche; ma essa non smise mai di rappresentare la psiche come determinata dal corpo e da esso dipendente. Fu così posto in rilievo il fatto che le prestazioni mentali sono legate alla presenza di un cervello normalmente sviluppato e sufficientemente nutrito e che in ogni malattia di questo organo esse vanno incontro a disturbi, e così pure fu posto in rilievo il fatto che l’introduzione di sostanze tossiche in circolo consente di produrre determinati stati di alterazione mentale o, per citare un caso minore, il fatto che i sogni di chi dorme risultano modificati secondo gli stimoli che si fanno agire su di lui a scopo di esperimento. 

Il rapporto tra corpo e psiche (nell’animale come nell’uomo) è un rapporto di interazione, ma l’altro aspetto di questo rapporto, l’azione della psiche sul corpo, trovò in passato poca clemenza agli occhi dei medici. Pareva che questi temessero di accordare una certa autonomia alla vita psichica, come se con ciò abbandonassero il terreno della scientificità. 

Questo indirizzo unilaterale della medicina in direzione del corpo ha subito man mano negli ultimi quindici anni un mutamento, che è scaturito direttamente dall’attività medica. Esiste infatti un gran numero di malati, lievi e gravi, che con i loro disturbi e le loro lagnanze pretendono molto dall’arte dei medici, nei quali però, nonostante tutti i progressi nei metodi d’indagine della medicina scientifica, non sono rintracciabili segni visibili e tangibili del processo patologico né in vita né dopo morte. Un gruppo di questi malati colpisce per la ricchezza e la multiformità del quadro clinico: non sono in grado di lavorare intellettualmente per mal di testa o per difetto d’attenzione, dolgono loro gli occhi durante la lettura, le gambe si stancano nel camminare, accusano un dolore sordo o si addormentano, la digestione è turbata da sensazioni penose, da eruttazioni o crampi di stomaco, l’evacuazione non avviene se non aiutata, il sonno è abolito, e così via. Essi possono avere tutti questi mali nello stesso tempo o successivamente, o soltanto una parte di essi; si tratta evidentemente in tutti i casi della medesima malattia. I sintomi di questa sono spesso mutevoli, si danno il cambio e si sostituiscono a vicenda; lo stesso paziente che finora era incapace di lavorare a causa di mali di capo, ma aveva una discreta digestione, può rallegrarsi l’indomani perché ha la testa libera, ma da quel momento tollera male la maggioranza dei cibi. Inoltre, i suoi mali lo abbandonano improvvisamente quando interviene un notevole mutamento delle sue condizioni di vita: durante un viaggio può sentirsi perfettamente bene e gustare senza danno il vitto più vario: tornato a casa, dovrà forse nuovamente limitarsi al latte cagliato. In alcuni di questi malati il disturbo – un dolore o una debolezza di tipo paralitico – può persino cambiare all’improvviso di lato, saltando dalla parte destra del corpo nel settore corrispondente di sinistra. In tutti però si può osservare che i sintomi del male sono chiaramente influenzati da eccitazioni, emozioni, preoccupazioni e così via e, inoltre, che essi possono sparire e dar luogo alla salute piena senza lasciar traccia, anche dopo essere durati a lungo. 

Dall’indagine medica è alla fine risultato che tali persone non devono essere considerate e trattate come malati di stomaco o malati di occhi e simili, ma che in esse si deve trattare di un male del sistema nervoso nel suo complesso. L’esame del cervello e dei nervi di tali malati non ha però sinora permesso di trovare un mutamento tangibile, e alcuni tratti del quadro clinico tolgono addirittura l’illusione che un giorno si possano rintracciare, con mezzi d’indagine più sottili, questi mutamenti che sarebbero in grado di spiegare la malattia. A questi stati si è dato il nome di “nervosità” (nevrastenia, isteria) e si sono definiti mali puramente “funzionali” del sistema nervoso. Del resto, anche in molti mali nervosi più persistenti, e in altri che rivelano soltanto sintomi psichici (cosiddette idee ossessive, idee deliranti, follia), l’indagine minuziosa del cervello (dopo la morte del paziente) non ha dato alcun esito. 

I medici si trovarono di fronte al compito di indagare la natura e l’origine delle manifestazioni patologiche di questi nervosi o nevrotici. Si scoprì allora che, per lo meno in una parte di questi malati, i segni del male non provengono se non da un mutato influsso della vita psichica sul corpo, e che dunque la causa prima del disturbo è da ricercarsi nella psiche. Quali siano le cause più lontane del disturbo dal quale è stata colpita la psiche e che ora influisce a sua volta in modo perturbante sul corpo, è un’altra questione e possiamo a ragione tralasciarla in questa sede. Ma la scienza medica aveva qui trovato l’allacciamento che le consentiva di rivolgere tutta la sua attenzione al lato sinora trascurato della relazione reciproca tra corpo e anima. 

Soltanto quando si studia il patologico s’impara a conoscere il normale. Sull’influsso che la psiche esercita sul corpo erano note da sempre molte cose che solamente ora acquistavano il giusto rilievo. L’esempio più comune di azione psichica sul corpo, osservabile regolarmente e in ciascuno, è dato dalla cosiddetta “espressione dei moti d’animo”. Pressoché tutti gli stati psichici di un uomo si manifestano nella tensione e nel rilassamento dei muscoli facciali, nell’adattamento degli occhi, nell’affluenza del sangue alla cute, nella sollecitazione imposta all’apparato vocale, e nella posizione delle membra, soprattutto delle mani. Questi mutamenti somatici concomitanti non recano in genere alcun vantaggio alla persona, e spesso anzi ostacolano i suoi intenti, quando vuol celare i propri processi psichici di fronte ad altri; ma essi servono agli altri come sicuri indizi, dai quali si possono dedurre i processi psichici e sui quali si fa affidamento più che sulle espressioni verbali usate nello stesso tempo e intenzionalmente. Se si riesce di sottoporre a un esame più attento una persona durante determinate attività psichiche, si trovano in essa ulteriori conseguenze somatiche di queste attività, nelle modificazioni dell’attività cardiaca, nella variazione della distribuzione sanguigna nell’organismo, e così via. 

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